Chiunque abbia mai fatto un viaggio in Sicilia si sarà imbattuto in un caposaldo della pasticceria locale: la brioche siciliana.
Chiunque abbia mai fatto un viaggio in Sicilia si sarà imbattuto in un caposaldo della pasticceria locale: la brioche siciliana, più comunemente conosciuta come brioscia — o brioche col tuppo per la sua particolare forma di chignon che richiama l’acconciatura tipica di una ballerina di danza classica. In realtà ispirata alla pettinatura delle donne siciliane che tradizionalmente raccoglievano i capelli in un tuppo.
E’ una brioche dalla consistenza morbida, di pasta lievitata. Nei panifici locali si trova una variante prodotta con lo stesso impasto di pizzette e focaccia, ma ricoperta di zucchero granulato: la brioche con lo zucchero.
La differenza principale tra la brioscia e gli altri prodotti da forno da pasticceria, oltre alla tipica forma, è nella doppia lievitazione e nella riduzione della dose di burro. Il risultato è un morbido panino al latte pronto per essere immerso nella granita siciliana.
Nella ricetta tradizionale e popolare non era, in realtà, previsto l’utilizzo del burro a cui si preferiva il meno costoso strutto di maiale. Lo strutto infatti rendeva i soldi soffici e morbidi. Oggi lo strutto è ovunque sostituito con il burro, meno grasso e di più facile digestione.
Nella zona di Catania la brioche ha un colore tendete al giallastro. Il trucco è semplice e svelato: l’utilizzo di zafferano nell’impasto. E’ sempre nella città etnea che la ricetta originale vorrebbe la presenza di scorza di arancia nell’impasto.
Generalmente la brioche si mangia per accompagnare la granita siciliana, o farcita con gelato, come se fosse un panino.
Furono gli arabi a portare in Sicilia la ricetta dello sherbet, una bevanda ghiacciata aromatizzata con acqua di rose o estratti di frutta.
E’ ancora a Catania che, nel medioevo, grazie alla neve dell’Etna raccolta nei mesi invernali e conservata dai nevaroli nelle neviere - costruzioni in pietra erette su grotte naturali o artificiali - questo sorbetto diventa popolare.
In estate il ghiaccio veniva grattato e mescolato con sciroppi o frutta. E’ da questa preparazione che a Roma la granita prende il nome di grattachecca.
Solo nel XVI secolo il procedimento cambia e la neve da ingrediente principale diventa refrigerante. Un secchiello con una manovella per un movimento rotatori posto in un pozzetto impediva al composto di congelare ed essere quindi sempre morbido, senza la formazione di cristalli di ghiaccio, e congelato allo stesso tempo.