Sostenibilità è una delle parole che più imperversa negli ultimi mesi. Il tema dei criteri Esg ormai rimbalza dai meeting aziendali, alle pubblicità, dalle linee guida adottate dai Governi, alle decisioni adottate dalla finanza e dalla stessa Banca centrale europea. Un’industria che da anni ha ben presente il concetto della sostenibilità è quella del caffè, se non altro perché le coltivazioni avvengono perlopiù in aree estremamente povere.
A cura di Il Sole24ORE
Già nel 1962, in occasione del primo accordo internazionale sul caffè, la sostenibilità economica dei produttori fu oggetto di discussione. Da quei tempi, purtroppo, la situazione di numerosi produttori di caffè è spesso andata peggiorando: a prezzi in dollari reali, oggi gli agricoltori guadagnano meno di quanto non facessero decenni fa. La volatilità del prezzo del caffè, inoltre, rende estremamente vulnerabili le famiglie che vivono a monte della filiera. In più, secondo la Fao, il settore necessita di miglioramenti in quanto a disuguaglianza di genere, con le donne coltivatrici di caffè che hanno meno accesso alle risorse. Il settore deve inoltre fare i conti con il problema del lavoro minorile, con quello della deforestazione tropicale, fino all’impatto dell’industria sui corsi d’acqua. Fortunatamente la sensibilità delle aziende del caffè verso i temi della sostenibilità sta crescendo anno dopo anno.
Da Lavazza a Illy cresce l’attenzione ai criteri ESG
I grandi gruppi del caffè italiani sono molto attenti ai temi ESG. Gli esempi positivi sono per fortuna numerosi. Lavazza, ad esempio, ha già sposato i principi sanciti dalle Nazioni Unite in tema di sostenibilità. Il Manifesto della Sostenibilità del gruppo piemontese “A goal in Every Cup” è una dichiarazione programmatica che delinea la strategia di sostenibilità, ispirata dal profondo senso di responsabilità che l’azienda nutre da oltre 120 anni nei confronti delle comunità in cui opera, in particolare i coltivatori di caffè, i dipendenti e i consumatori. Si tratta di una strategia sempre più integrata nel business e basata sui principi dell’Agenda 2030 sottoscritta nel 2017, all’interno della quale Lavazza ha individuato i quattro pilastri di sostenibilità prioritari, rispetto ai quali impegnarsi nei prossimi anni: uguaglianza di genere, lavoro dignitoso e crescita economica, consumo e produzione responsabile, attenzione al clima. Ma la sensibilità ai temi ESG risale a molti anni fa per la società: già nel 1935, Luigi Lavazza espresse il suo disappunto nel vedere distruggere interi raccolti di caffè non venduto nelle piantagioni sudamericane. Da quel momento in poi il gruppo si propose di essere attento al patrimonio economico, ma anche al rispetto del patrimonio umano e ambientale.
In tema di sostenibilità Illy ha cercato di bruciare le tappe, annunciando la sua intenzione di raggiungere la Carbon Neutrality nel 2033. Obiettivo ambizioso che prevede investimenti per ridurre l’impatto ambientale della lavorazione del caffé: dai progetti di efficientamento per il recupero del calore sviluppato durante il processo di tostatura e al recupero di energia frigorifera fino all'acquisto di energia proveniente solo da fonti rinnovabili. L’azienda, inoltre, cerca di favorire e sviluppare pratiche colturali rispettose dell’ambiente nelle piantagioni.
Anche il gruppo Massimo Zanetti Beverage ha «intrapreso un percorso virtuoso per aumentare il presidio lungo la catena di fornitura e contribuire allo sviluppo di prodotti sempre più sostenibili». Ad esempio la società sta lavorando con tenacia e dedizione per avere il 100% delle confezioni di prodotto completamente riciclabili. Promuove, inoltre, l’adozione di modelli di economia circolare come quella sviluppata dalla società finlandese del gruppo, Meira, che utilizza all’interno del proprio ciclo produttivo l’energia prodotta dagli scarti della produzione di caffè, il biogas, riducendo così le emissioni di anidride carbonica.
Anche i produttori delle macchine da caffè in prima linea
La filiera del caffè è lunga: parte dalla piantagioni e arriva alla tazzina. Comprende anche i produttori delle macchine da caffè, che hanno un ruolo chiave. «Il mondo del caffé, nel senso più ampio del termine, già da tempo è attento alla sostenibilità. Ad esempio negli ultimi anni le fattorie del Guatemala e del Nicaragua stanno vivendo una fase di crescita che prevede una redistribuzione delle risorse in modo più solidale», ha commentato Andrea Doglioni Majer, presidente e ceo della società Carimali e presidente di Ucimac, l’associazione dei produttori delle macchine da caffè. Il settore delle macchine da caffè in Italia non si è dato direttive in tema di sostenibilià. «Come associazione Ucimac – ha spiegato il presidente – non abbiamo una posizione sul tema, né abbiamo libri bianchi. D’altra parte le 13 aziende associate sono già tutte particolarmente attive nel rispetto dei criteri ESG». Ad esempio la Carimali, guidata dallo stesso Doglioni Majer, ha investito nella costruzione di un asilo nido per dare sostegno concreto al territorio bergamasco dove sorge la società. «Si tratta non soltanto di un asilo aziendale, che offre servizi alle nostre collaboratrici e collaboratori a un prezzo simbolico, ma è una struttura aperta a tutta la comunità, in considerazione del fatto che nella zona non esistono asili privati accessibili». Altre aziende associate a Ucimac sono più attente all’ambiente e per questo hanno realizzato impianti produttivi che utilizzano la geotermia o il fotovoltaico. Oppure, ha detto ancora il presidente dell’associazione, hanno deciso di collaborare con cooperative per aiutare persone diversamente abili. La San Marco, oltre a sostenere iniziative di charity, ha puntato sulla sostenibilità di prodotto. Così in occasione del suo centenario che ricorre proprio quest’anno, ha lanciato Divina, il nuovo modello elettronico di macchina da caffè di alta gamma dedicata ai professionisti. Si tratta di un apparecchio che oltre a offrire funzionalità avanzate, permette soluzioni di efficientamento energetico, che garantisce una diminuzione del 35% dell'energia consumata rispetto agli altri modelli elettronici meno sofisticati. Numerose sono inoltre le iniziative sostenibili promosse dal gruppo Ryoma Italian Holding Company (https://www.ryoma.it/), nato nel 2012 come holding di partecipazioni tra le quali anche i noti marchi di macchine da caffè Astoria, Wega e Storm. Nel suo stabilimento trevigiano, ha adottato un approccio plastic free, installando negli uffici e nell’area produttiva, colonnine di acqua collegate alla rete idrica, dalle quali i dipendenti possono rifornirsi grazie alle borracce messe a disposizione dall’azienda. In più negli ambienti di lavoro, oltre che a un sistema di isolamento che evita la dispersione del calore, è stato adottato un sistema di illuminazione a LED autoregolabile, sia negli uffici che nelle linee di produzione, che si adatta alla luminosità esterna. Nell’ambito delle linee di produzione, sono stati scelti sistemi di filtrazione e trattamento delle acque utilizzate per i collaudi funzionali delle macchine in fase di assemblaggio, che permettono di riutilizzare a ciclo continuo lo stesso volume d'acqua per il processo di test funzionale delle macchine. Attraverso le tecniche di Smart-recycling è stata massimizzata la raccolta differenziata. Ma non è tutto. E’ posta attenzione particolare anche al packaging utilizzato per le spedizioni dei prodotti finiti. Da circa 6 mesi a questa parte, nel 50% della produzione è stato eliminato completamente il polistirolo e il materiale plastico, che sono stati sostituiti da carta riciclata. Infine l’approccio sostenibile è presente anche all’interno delle macchine grazie alla tecnologia Green Line, che consente risparmio fino al 47,6% di energia a riposo e del 30% in fase operativa delle macchine da caffé.
Il ruolo attivo del consumatore
La filiera del caffè termina con il consumatore che deve far la sua parte optando per una tazzina di caffè sostenibile. Recenti studi hanno messo in evidenza che c’è una crescente richiesta di trasparenza sull’origine degli ingredienti e sulle pratiche produttive delle miscele di caffè, anche di fronte allo scaffale del supermercato. Ad esempio, nel primo semestre del 2020, le vendite di caffè certificato Fairtrade (quello che assicura agli agricoltori un prezzo equo almeno per coprire le spese di produzione) nella grande distribuzione hanno registrato un progresso del 15% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. C’è poi il tema della scelta delle capsule e delle cialde, che ormai sono sempre più gettonate rispetto alla preparazione del caffè con la moka. E la scelta più green, ovviamente, è sempre quella che impatta meno sull’ambiente. Gli esperti sostengono che forse le cialde, se buttate nell’organico, sono meno inquinanti delle capsule. D’altra parte quest’ultime, anche per merito di una serie di iniziative, possono essere riciclate. Sempre che il consumatore collabori.